Pagina creata il 12 Marzo 2018 |
Aggiornata
Sabato 19-Mag-2018
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PIAZZA DEL CARMINE, Mercato coperto
Qui c'è poco da recuperare, tutti i danni possibili al convento, alla chiesa e all'oratorio sono stati fatti - irreversibilmente. Ci rimane una bella e versatile struttura che racconta, più di altri luoghi, chi eravamo e come vivevamo. Ora dobbiamo trovare il modo di tornare a utilizzarla senza snaturarne la vocazione aggregativa e senza distruggerne la storia. Fosse per me, vi rifarei il mercato delle vettovaglie, semplicemente. Ortofrutta e quant'altro, prodotti a chilometro zero e biologici. Magari anche un po' di artigianato, ma quello vero, possibilmente tipico delle nostre zone. L'eccellenza della produzione e della tradizione locale, insomma. Per riportare i cittadini a frequentarlo e invogliare a sopportare i molti disagi che un'attività commerciale svolta nel centro storico comporta, affitterei i fondi a prezzo politico e studierei altre forme di agevolazione, perché lo scopo non sarebbe lucrare sui produttori e i negozianti. Dei turisti non mi preoccuperei - loro sanno scegliere in autonomia, non hanno bisogno di incentivi particolari, di un'offerta al ribasso, di facciata - i turisti vanno dove si sta bene, vi è bellezza e autenticità. Un mercato realmente pensato per servire i cittadini, sarebbe un'attrattiva turistica eccellente.
CENNI STORICI
La struttura sorge su quella che fu la chiesa di Santa Maria del Carmine (o, per altre fonti, San Pier Cigoli) di epoca rinascimentale, con annesso al suo interno il convento dei carmelitani e un oratorio. Vi si raccoglieva la Compagnia degli Orefici e Argentieri. L’architettura interna e la struttura del chiostro sono rimasti più o meno inalterati. L’ex campanile della chiesa è stato successivamente adibito a torre oraria, ma l'orologio non funziona un giorno sì e l'altro no. Accanto alla torre è ancora visibile il portone d'ingresso in legno da cui si accedeva al convento. La chiesa venne chiusa nel 1866. Dopo anni di abbandono, nel 1936, vi fu trasferito il mercato delle vettovaglie, in precedenza situato in Piazza dell'Anfiteatro. Oggi presenta una situazione di degrado dovuto in massima parte alla negligenza e all'incuria delle varie amministrazioni succedutesi nei decenni.
NOTICINA PERSONALE
Sono nata in Via Sant'Andrea, nel 1964, e lì sono rimasta sino al 1970. Mia madre mi metteva a sedere sul davanzale di una finestra che si affacciava su Via San Gregorio mostrandomi la vitalità del mercato, con le sue botteghe aperte, l'alimentari di Guido, il via vai di persone. Ricordo nitidamente le urla dei venditori, il cinguettio degli uccelli in vendita, l'odore di pesce, salumi e formaggi, del pane appena sfornato. Ricordo la navata centrale di quella che fu una chiesa, circondata dalle botteghe aperte anche sull'interno, le piastrelle bianche, i banchi in muratura e marmo: i commercianti vi mettevano in mostra carne, pollame e pesce - lo appezzavano lì, lì lo pesavano e incartavano, cicca in bocca e via. Nel chiostro i banchi con la frutta e la verdura, tantissimi, la calca. Ricordo la frescura e un senso di soffocamento dato dall'umidità, le luci al neon, il pavimento sempre bagnato, i canali di scolo pieni di acqua e sangue, il rimbombo dei rumori e delle voci, le granate di saggina che cercavano di tener pulito. In quegli anni era già avviato l'improvvido progetto di svuotare la città deportando i suoi residenti meno abbienti nelle case popolari, fuori dalle mura. Con il progressivo allontanamento delle genti, la distruzione del tessuto sociale più popolare, anche il mercato così chiassoso, scarsamente igienico, decoroso, cadde in abbandono - non aveva più senso investirci denaro, sprecarvi energie, e poi si stava affermando la grande distribuzione con i suoi guantini di plastica, le sue confezioni formato famiglia perfettamente sigillate e a buon prezzo, gli addetti alla vendita lindi che parevano dottori. Ai lucchesi che contano, e forse anche agli altri, non pareva vero di darsi un tono al passo coi tempi, dimenticare in fretta la povertà, svecchiarsi per scrivere il futuro di una città che nelle intenzioni doveva diventare una bella vetrina, luogo di consessi nazionali e internazionali, di inutili università elitarie, passaggio per gente di classe, colta, altolocata, mica marmaglia, mica turismo da due soldi. Quel progetto, allora come adesso, si chiama "riqualificazione" - a danno della storia, della cultura, delle tradizioni, delle relazioni sociali, della qualità della vita. E della crème de la crème, neanche l'ombra.
AGGIORNAMENTO Dicembre 2015
Attualmente, e da mesi, il Mercato è oggetto di un importante restauro che è partito dal rifacimento del tetto. E' ancora difficile sapere, capire con certezza cosa il Comune abbia intenzione di farne. Pare che i piccoli fondi commerciali saranno affittati ad attività che vi svolgano vendita di articoli artigianali e artistici. Non so quale attrattiva possa avere un luogo che è fuori dai percorsi turistici, il fatto che vicino vi sia Torre Guinigi e Piazza Anfiteatro, non significa assolutamente nulla dal punto di vista dell'appetibilità commerciale in quanto, appunto, il turista raggiunge la piazza e la torre percorrendo strade diverse. La vocazione naturale dell'area era di tipo popolare e locale, animata dal mercato, dalla presenza di uffici pubblici, ecc. La dismissione del Mercato, la chiusura degli uffici, la soppressione delle linee di trasporto pubblico che passavano di lì consentendo ai cittadini di raggiungere il centro scendendo in Piazza del Carmine, l'hanno ammazzata. Le intenzioni, buone o cattive che siano, da sole non servono a nulla. L'apertura di negozietti per turisti non basta per riqualificare un quartiere, per riportarvi la vita. Vedremo come andrà a finire.
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