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Pagina creata nel Luglio 2014
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Aggiornata Martedì 13-Mar-2018

 

VIA DELLA CITTADELLA, Demolizioni selettive

 

Vi ho vissuto dal 1970 al 1978. Quando ci trasferimmo nell'enorme appartamento che faceva il giro del palazzo, posto sull'angolo tra Via della Cittadella e Via dei Tabacchi, al civico n. 5, il piazzale di fronte era ancora coperto di macerie e l'erba che vi era cresciuta era così alta che per me, bambina, equivaleva a una selva impenetrabile.

La distruzione del quartiere era iniziata nel 1957. Sempre a causa del già citato e scriteriato progetto di svuotare il centro storico deportando i suoi abitanti meno abbienti nelle case popolari, fuori le mura. Tale progetto, teso alla "riqualificazione" della città, prevedeva anche l'abbattimento delle case che questa povera gente aveva acquistato con il sudore della propria fronte, o aveva preso in affitto da altri che se la passavano meglio.

Con la scusa che le palazzine erano fatiscenti, non igieniche e pericolanti, il Comune ne ingiunse l'abbandono e cominciò ad espropriarle (destino infame che poi colpì, anche se in maniera diversa, l'Anfiteatro, Pelleria e il Bastardo). I più cedettero, ma non tutti. Stoici, addirittura eroici, furono gli abitanti dell'unica palazzina esistente ancora oggi, posta sull'angolo della piazza a ridosso delle Mura e della manifattura, di lato al fosso. Le ruspe ne avevano già demolito una parte, ma loro nulla: si barricarono dentro minacciando atti inconsulti e alla fine fu impossibile sloggiarli: l'amministrazione dovette accettare di lasciarli in pace.

Faceva impressione quella palazzina sventrata. Si vedevano i contorni delle stanze, ognuna colorata in modo diverso, le porte interne, ancora qualche quadro alle pareti. Tutti pensavano che erano pazzi, che non valeva la pena scontrarsi con le autorità, intestardirsi, che in fondo conveniva andarsene - ma alla fine ebbero ragione loro ed io, oggi, gli sono infinitamente grata di non aver avuto paura.

La polizia, i Carabinieri, i messi comunali e gli ufficiali giudiziari erano di casa in Cittadella. In effetti, non era un quartierino ammodo. Era un posto povero, pieno gente che si arrabattava per mettere il pane in tavola, specie quando mariti, padri e fratelli maggiori andavano "in villeggiatura" a San Giorgio (il carcere cittadino). C'era un rigattiere, un restauratore (questo è ancora lì), forse un tappezziere e altre botteghe che non ricordo, molta ricettazione, almeno tre benefattrici sociali, galeotti e quant'altro. Quando arrivava la polizia era il fuggi fuggi generale. Gruppi di uomini scappavano sul retro del palazzo scavalcando i muri che delimitavano gli orti interni, sino a far perdere le loro tracce. Era una vista spettacolare, sembrava un film.

Sotto casa mia lavoravano due benefattrici molto diverse tra loro, infatti si odiavano e si facevano la guerra un giorno sì e l'altro pure.

La Bionda, una bella donna anche se un po' volgare, aveva due ingressi: il suo personale al quale si accedeva passando dal mio portone, e quello che utilizzava per lavorare, una porta (oggi murata) che dava direttamente sulla strada, in Via della Cittadella. Stava seduta sull'uscio e si procacciava i clienti ammiccando o apostrofandoli. Quando la porta era chiusa, significava che era occupata o non era in casa.

La Contessa (Ada), altra bella donna, mora, piuttosto elegante e beneducata, riceveva in casa, solo su appuntamento, clienti fissi. Sul retro aveva un giardino bellissimo al quale teneva tantissimo. Il suo giardiniere personale lo curava continuamente e lei ne andava fiera. Ricordo le palme, in particolare, e ricordo che lei non lo frequentava molto perché ogni volta che si affacciava compariva la Bionda e poi erano litigi furibondi.

A me piacevano entrambe, oggi posso dirlo. Ada, per la sua signorilità e discrezione, la Bionda, per la sua spontaneità e per l'avvenenza - e poi aveva un debole per me (se mia madre sapesse quante caramelle mi ha regalato, di nascosto!).

Sul lato opposto di Via della Cittadella abitava e lavorava un'altra benefattrice, ma non ne ricordo il nome, so solo che tra lei e la Bionda c'era parecchia ruggine, si facevano una concorrenza spietata. In effetti, ora che allineo i ricordi, devo ammettere che la Bionda non era un tipo tranquillo - litigava in continuazione, un po' con tutti, specie con le sigaraie alle quali non andava giù che esercitasse in quel modo così sfacciato, senza nascondersi o avere vergogna: lei usciva in strada e si metteva a urlare sotto le finestre della manifattura. Volavano parole grosse e insulti irripetibili, poi, un giorno gridò loro che avrebbero fatto meglio a lavare le mutande dei loro mariti visto che li mandavano in giro smerdati e poi li doveva sopportare lei - non so se fosse dipeso da questo, ma le zuffe, come per magia, divennero sempre più rare.

Nel quartiere della Cittadella vi era una vita sociale molto intensa, tutti si conoscevano e stavano insieme. Quando le ruspe finalmente sgombrarono la piazza dai ruderi, vi rimase un enorme sterrato che divenne luogo d'incontro e di interminabili partite di calcio. D'estate, la sera, le famiglie scendevano giù: sedie, tavoli, chi portava una chitarra, chi la radio o addirittura la TV, chi da bere, chi da mangiare ed erano chiacchiere sino a tarda notte.

Se penso che ho visto le donne lavare i panni nel fosso e i ragazzini farci il bagno, legati ad una corda per non farsi trascinare via dalla corrente, mi sento vecchia ma allo stesso felice. Ho avuto la fortuna di nascere in un'epoca che declinava ma non era ancora morta del tutto.

Per la cronaca: quando lasciammo il quartiere, nel 1978, i lavori per la realizzazione del parcheggio che avrebbe dovuto togliere dalla strada la marmaglia, non erano ancora ultimati. Pare che si conclusero negli anni Novanta. Almeno trent'anni dopo la cacciata.

 

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