Dentro le Mura le attività artigianali e dei più o meno importanti opifici fiorivano. Il sistema di fabbrica affermatosi con l’industrializzazione a partire dal 1880, per iniziativa di imprenditori venuti da fuori, interessava esclusivamente la parte pianeggiante delle Sei Miglia attraversate dal Pubblico Condotto. Le attività protoindustriali e quelle artigianali, quasi scomparse oggi, convivevano allora con quelle del terziario commerciale e turistico, nel centro urbano. All'inizio di via dei Borghi, entro la cinta muraria, esisteva ancora uno stabile del cotonificio fondato dal tedesco Carlo Niemack nel 1878 e dipendente dalla Fabbrica Italiana Filati Cucirini sorta nel sobborgo dell’Acquacalda, nell'area dell'antico Mulino di Fondo, dalla fusione della ditta dell'imprenditore straniero col Cotonificio Cantoni (1890) che darà poi vita alla Cucirini Cantoni Coats (1904), la più importante fabbrica tessile lucchese del secolo scorso. Manifatture esistenti in città, in occasione del V Congresso degli scienziati svoltosi nel 1843. Nelle foto del primo novecento scattate all'altezza della seicentesca Madonna dello Stellare fa bella mostra di sé celando il casotto che proteggeva la ruota del già citato lanificio. Ma delle ruote e degli assi che le collegavano ai macchinari dei due opifici, alti più di 2 metri rispetto alle vie fiancheggianti il Fosso, non restano tracce nemmeno in queste foto. É questo ancora un suggestivo angolo di città che scriteriatamente qualcuno voleva cancellare negli anni 50 del secolo scorso coprendo il Fosso per facilitare il traffico. Del resto un progetto simile si era ventilato ai tempi della Repubblica aristocratica e parzialmente realizzato durante il Ducato e giustamente se ne duole il Fulvio: La preziosa vena d'acqua veniva pure utilizzata fin dal secolo XVI e grazie ancora ad una ruota idraulica - il cui funzionamento è accuratamente descritto due secoli dopo dall'acuto e vivace narratore di usi, costumi e attività produttive lucchesi conosciuto come Pittor Sassone - per annaffiare le piante del giardino della splendida Villa Buonvisi ormai proprietà di quel Lorenzo Bottini del quale avremo occasione di occuparci più avanti. Al termine della via dei Fossi, il Condotto deviava a sinistra e si inabissava appunto nella via del fosso Coperto o del Corso, oggi Corso Garibaldi, non prima d’aver mostrato ai passanti la fatica delle lavandaie all’opera in un grande lavatoio appoggiato alla cortina delle Mura fra il Baluardo di San Regolo e quello di San Colombano.
Il Condotto riappariva in piazza Cittadella - toponimo illustre che rimanda ad una fortificazione significante non tanto il potere della Civitas quanto piuttosto il potere sui cittadini esercitato con energia da Castruccio Castracani e da Paolo Guinigi, l'uno nel secolo XV, l'altro cento anni prima - dove concedeva forza motrice dapprima ad almeno dieci mulini documentati nei martilogi commissionati dall'Offizio sopra le Entrate nel secolo XVII ed egregiamente illustrati e commentati dagli architetti Bedini e Fanelli, poi, a partire dal 1815, alla Manifattura Tabacchi, il più importante opificio del Comune nel periodo precedente l'industrializzazione. Superato l'antico e attivissimo mulino Lazzareschi e Lazzaroni già Mungai – dove le vecchie macine di pietra erano state sostituite da più produttivi cilindri di ghisa – e procedendo per la via dei Fossi lungo il Condotto, ancor oggi sito di Archeologia industriale ben leggibile per chi ha occhi per guardare, s'incontrava l'antico lanificio dei nobili Carlo Burlamacchi e Donato Donati che a fine secolo, gestito dall'imprenditore bolognese. Tersizio Bevilacqua, occupava 51 operai, soprattutto donne come avveniva in tutta l'industria tessile. Altri più modesti opifici, specialmente officine meccaniche e fonderie, attingevano l'energia idraulica dal Condotto: cito la Palamidesi – anche il casotto in muratura della ruota che muoveva le macchine di questo opificio era visibile nelle foto del 900 -, la Pratolongo e la Cristofani che complessivamente occupavano circa 20 operai a fine secolo. Nella parte occidentale della città murata, in via delle Conce e nell’insieme del quartiere di Pelleria operavano, fine secolo XIX, cinque delle antiche concerie che, fin dal Medio Evo, conciavano pelli di bue, di vacca e vacchetta d’India producendo cuoi da suola e da tomaia. Ad esser preciso devo dire che inizialmente i pellai lavoravano le pelli minute in pieno centro, nella zona della chiesa di Sant’Andrea detta allora di Pelleria, vicino al quartiere oggi del Carmine, dove passava un fosso. Ma quando quel fosso fu coperto, la produzione dovette traslocare vicino a San Pietro Somaldi, ancora in pieno centro, finché le continue proteste per gli sgradevoli odori che emanava e che rendevano l’aria irrespirabile – e siamo in un'epoca nella quale cattivi odori e miasmi quotidiani ammorbavano l'aria delle città sovraffollate ma in questo caso s'era evidentemente superata l'ampia soglia di tolleranza - spinsero il governo lucchese a trasferirla definitivamente nel decentrato quartiere di San Tommaso (1354), dove già operavano i cuoiai, da cui il toponimo Pelleria e via delle Conce in questa zona occidentale e degradata della città. Questi spostamenti dimostrano come nel Medio Evo la città fosse attraversata da corsi d'acqua ben prima della costruzione del Pubblico Condotto deliberata nel 1376. A tal proposito l'architetto Velia Gini Bartoli nota, nel suo documentato e prezioso studio sulla storia urbana di Lucca, come Stabilire con buona approssimazione i percorsi delle vie d'acqua è stato fondamentale per capire la logica della trasformazione e della crescita urbana, dato che è in prossimità e lungo queste vie che la città inizierà a espandersi lungo i percorsi spontanei che si erano formati fuori dalle porte d'accesso e a ridosso delle mura, ed è ancora vicino ai corsi d'acqua che si attesteranno le prime attività artigianali e protoindustriali. Riferimenti bibliografici • Pucci T., Indicatore generale della città di Lucca, Lucca 1886 |
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