LA CITTA' DI LUCCA NELL'ULTIMO VENTENNIO DEL SECOLO XIX
Si va perdendo l'uso dei telai a domicilio, ancora diffuso nel sobborgo all'Arancio, una volta molto esteso specie per i telai della seta. Esistono fogne in quasi tutte le vie cittadine e le immondizie vengono portate via ogni giorno da spazzini municipali. In alcuni quartieri ci sono abitazioni umide e male areate, anche se tutte hanno latrine che immettono in cloache murate da cui si rimuove la materia con bigonci. Non hanno latrine interne le case coloniche. Gli abitanti entro le Mura erano 20.421 (dati 1884). Quello di Lucca risulta l'unico Comune toscano con decremento di popolazione. I morti per malattia superano la media italiana (dati 1883-1884): vaiolo = 3x10.000 (1,2x10.000 in Italia) Esistevano 3 case di tolleranza con 10 prostitute (dati 1886). Fonte: Inchiesta sulle condizioni igienico-sanitarie del Regno (1884)
LE INIZIATIVE BENEFICHE E ASSISTENZIALI DEI “CLERICALI”
Il Petrini, nel suo Saggio del 1986 (1), ci illustra le difficili condizioni igienico sanitarie dei ceti subalterni, derivate dalla carenza e dalla scarsa qualità dell'alimentazione oltre che dalle cattive condizioni di lavoro ed abitative in ambienti insalubri. Di esse si occupavano, per antica tradizione che poi si è consolidata nel tempo, i cattolici, meglio i “clericali” come allora venivano denominati e si denominavano. Esclusi dall'attività politica nazionale a causa del “non expedit”, i nobili clericali lucchesi si dedicavano con passione all'Amministrazione locale e alle opere di assistenza e beneficenza (si veda in proposito il fondamentale contributo di M. Stanghellini e U. Tintori, Storia del movimento cattolico lucchese, Roma 1958). Elenchiamo le 3 principali Istituzioni amministrate da nobili “clericali” quali Attilio Burlamacchi, il marchese Tucci, i conti Federigo e Cosimo Bernardini e soprattutto l'attivismo conte Cesare Sardi: L'antica Confraternita di Misericordia “ricostituita con Decreto del Governo Provvisorio della Toscana nel 1860, riunendo la Compagnia di Carità Cristiana, sorta nel 1668, con quella dei Poveri, nata nel 1554. Presieduta dal marchese Tucci dal 1871 al 1906 cui subentrò il conte Sardi. La Misericordia, con sede anche oggi in piazza San Salvatore, oltre alla quotidiana attività di soccorso agli infermi e di inumazione dei cadaveri, forniva alimenti, sussidi ed elemosine alle numerose famiglie povere. L'Associazione di Carità per le Consultazioni e Medicature Gratuite, fondata nel 1888 e presieduta dal conte Sardi, vice il nobile Burlamacchi. L'ottima direzione sanitaria del dottor Carlo Gianni ottenne risultati più che soddisfacenti: dal 1889 al 1894 vennero curate più di 3000 persone, quasi la metà con esito felice , vennero svolte più di 6000 consultazioni gratuite ed eseguite 370 operazioni chirurgiche (v. L'Esare, 8/01/1896, citato in F. Petrini, op. cit., p. 63) Il Comitato per la Cucina Economica, costituito nel 1892 e presieduto dal marchese Tucci. Questa Associazione nel suo sesto esercizio (12/1897 – 04/1898) “aveva distribuito 84.054 razioni di pane e 52.222 di minestra, con una media giornaliera di 543 minestre e 854 panini da gr. 250” (2). C'erano poi iniziative portate meritoriamente avanti dalla Chiesa e da singoli sacerdoti, quali la Scuola serale Matteo Civitali, aperta dal prete poi vescovo Giovanni Volpi nel 1884, in via dell'Angelo Custode, per l'istruzione di base di giovani operai ed artigiani.
NOTE
Per una esauriente trattazione dell'attività amministrativa, di assistenza e beneficenza dei “clericali” lucchesi, si veda la Tesi di Laurea di Angela Vannucci, Fabbrica, Parrocchia, Borgata nella “Società cattolica” lucchese dell'ultimo quarto del secolo XIX. Gli stabilimenti Balestreri nel territorio di Saltocchio al Ponte a Moriano, Università degli Studi di Firenze, Anno accademico, Facoltà di Magistrero, 1994-1995. (1) Francesco Petrini, Aspetti dell'industrializzazione in Lucchesia: 1880-1901, in Documenti e Studi, n. 5, dicembre 1986. (2) F. Petrini, op. cit., p. 69.
VAGABONDI, ORFANI E OSPEDALE DELLA QUARQUONIA
Lucca, nei tempi passati, ha fatto di tutto per sopprimere o limitare il fenomeno dei vagabondi e degli accattoni. Per quel che riguarda i vagabondi forestieri la norma costante fu quella di proibire di dar loro l’alloggio e comunque di allontanarli dalla città e dal territorio; tant’è vero con un bando del 3 gennaio 1575, emanato da un Offizio sopra i vagabondi composto da tre o sei cittadini nominati dal Consiglio Generale, fu disposto che tutti i vagabondi forestieri, uomini o donne, dovessero lasciare la città entro tre giorni, sotto la pena “...a' maschi da 18 anni in giù, per la prima volta, di 50 nerbate a carne nuda in piazza, e per la seconda di bando perpetuo; a quelli da 18 a 50 anni, per la prima volta, un tratto di corda della girella in basso, e per la seconda alla pena di tre anni di galera e bando perpetuo; ed a quelli da 50 anni in su ed agli storpiati e ciechi, in caso di recidiva, un bollo fatto con ferro infuocato nelle mascelle...”. Per le donne poi, giovani, vecchie, cieche o storpie la pena era prevalentemente l’esilio. I bandi si modificarono via via con il tempo, come in quello del 1633, che scomparve la pena della corda e del bollo, restando però sempre, anche se ridotte di numero, le frustate. Con tali rimedi si poteva tenere la città “pulita” dai vagabondi forestieri e da un altro fenomeno che era quello dei contadini accattoni e oziosi che abbandonavano le fatiche dei campi. Ma di contro a questi duri provvedimenti il Consiglio Generale, con umanità, si occupava anche dei giovani che la morte dei genitori e la mancanza d’ogni aiuto aveva gettato sul lastrico. A questi orfani senza guida e senza ricovero fu pensato di dare alloggio e un mestiere presso privati con una piccola sovvenzione pubblica: il decreto del Consiglio Generale del 24 febbraio 1559 stabilì che coloro che ospitavano minori di 14 anni per almeno un triennio avessero una sovvenzione di 6 staia di grano ogni anno e un premio di 10 scudi alla fine del periodo. Fu così che l’Offizio sopra i vagabondi ebbe sempre la doppia autorità di scacciare i vagabondi e di avviare al mestiere, mediante alloggio presso famiglie, i giovani derelitti e gli orfani che non erano tra i pochi fortunati a essere alloggiati nei ricoveri pubblici. Questi ripari alla miseria e al vizio erano più o meno efficaci a seconda delle stagioni, dei commerci e in generale della pubblica e privata prosperità; per esempio quando nell’inverno del 1649 si verificò un enorme incremento dell’accattonaggio, il Consiglio dovette ricorrere a particolari misure per contrastare questi miserabili che languivano anche di notte nelle pubbliche vie rappresentando un pericolo per la collettività. Fu deliberato di fare una straordinaria perquisizione dei mendicanti, di riconsegnare ai genitori quelli che ne avevano e ordinando loro la custodia e il controllo dei figlioli; ma fu deliberato anche di approntare per i vagabondi senza casa e famiglia un ricovero notturno. Alle donne nello Spedale di San Francesco, nell’omonima piazza, e ai maschi nel Palazzo dei Borghi; in realtà c’erano già degli ospizi privati come quelli degli “Orfanelli” e degli “Azzurrini” ma non erano però in grado di gestire il gran numero di “sfollati”. Verso il 1670, per togliere dalle strade le fanciulle in pericolo, alcuni privati istituirono una casa nella Parrocchia di San Pietro Maggiore ( chiesa nei pressi dell’ attuale Porta San Pietro, poi distrutta dai Baiocchi) intitolata come Conservatorio delle figlie abbandonate dette “le vagabonde”. Questo istituto si reggeva all’inizio con le elemosine e i contributi pubblici e privati, ma nei primi decenni del Settecento acquisì un considerevole patrimonio frutto specialmente di legati. Il Consiglio Generale, con un decreto del 1724, decise di venire in contro alle sempre più massicce richieste di un ospizio fondando un nuovo istituto nel Palazzo dè Borghi, già villa suburbana di Paolo Guinigi, detto popolarmente per la sua insolita grandezza il Palazzaccio: fu nominato “Spedale di S. Antonio della Carità” ma il popolo lo ribattezzò “Quarquonia”, nome di suono insolito e d’origine ignota, già usato però a Firenze. Inizialmente le disponibilità furono scarse e incerte, come al solito fondate su beneficenze private o del clero e sui proventi del lavoro dei carcerati; successivamente si unirono “le vagabonde” che apportarono i loro averi e si ebbero infine alcune donazioni e lasciti privati. All’interno fu aperto un negozio e una lavorazione di tele di cotone, specialmente indiane, che all’inizio dette buoni risultati economici. Gli ospiti, divisi per sesso e per età, furono sempre in media circa duecento per tutto il Settecento e fino al 1808, anno in cui cessò per poi riaprire nel 1823 per un breve periodo ma senza l’antico patrimonio andato perduto nella riunificazione degli ospizi voluta dal Governo Napoleonico.
Tratto da "Archivio Bongi – Offizio sopra vagabondi", Archivio di Stato, Lucca (dal sito www.aboutlucca.it)
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