TORNA SU ETHAN RICCI

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Maria Virginia Paradisi

 

IN ITALIA

 

 

FW058) Colonia agricola Mutigliano (foto esposta alla mostra “Dall’abbandono all’assistenza. L’infanzia emarginata a Lucca nell’Ottocento” promossa dall’Archivio Storico Comunale e dall’Assessorato alla Cultura nel 2013)

Le bambine e i bambini appartenenti alle classi popolari nell'Italia dell'Ottocento pre-unitario lavoravano precocemente, erano senza istruzione e senza tutele, soggetti a malattie conseguenti allo scarso o povero cibo, alla igiene non esistente, al vivere in case malsane: la mortalità nel primo anno di vita raggiungeva percentuali altissime che permanevano in età successive, fino ai 5 anni di età.

Con la nascita del Regno d'Italia  cambia poco anche se si iniziano a pubblicare statistiche, inchieste che, partendo dalla situazione a dir poco drammatica del lavoro minorile e delle conseguenze sulla salute e sulla mortalità di tanta infanzia di fatto abbandonata, provocavano discussioni simili a quelle avvenute in Inghilterra, Francia, Germania fin dal primo decennio del secolo XIX. In quei paesi europei si erano potute denunciare le tristi realtà del lavoro minorile. In Italia l'industria era ancora scarsamente sviluppata e non esistevano grandi stabilimenti "nei quali la presenza dei bambini costituisse un fenomeno di rilievo" (D. Bertoni Jovine, L'alienazione dell'infanzia, Luciano Manzuoli ed., pag. 15). Certo, i i bambini iniziavano a lavorare appena in grado di utilizzare braccia e mani ma il lavoro restava, quasi sempre, nell'ambito familiare o agricolo o artigianale come era tradizione da secoli.

Dopo l'Unità d'Italia emersero via via situazioni e dati sui fanciulli che lavoravano nelle miniere di zolfo in Sicilia o nelle fabbriche tessili del Nord ma non sembravano costituire un grosso problema nazionale. Lo scarso sviluppo economico del nostro Paese spingeva la popolazione povera ad abbandonare i figli più piccoli al vagabondaggio che divenne "una fonte di lucro organizzato in mano a gente senza scrupoli" (così vengono definiti i procacciatori di bambini nel libro sopra citato); così, accanto ai bambini ingaggiati in tenera età come lavoranti nelle fabbriche esistenti si verificava "una vera e propria tratta di bambini destinati all'accattonaggio e a pseudo mestieri girovaghi". Specialmente nelle regioni meridionali ma anche in Piemonte "la compravendita di fanciulli d'ambo i sessi, impiegati sul territorio nazionale o all'estero come mendicanti, giocolieri, suonatori ambulanti, danzatori, aveva già provocato azioni repressive da parte del governo piemontese e dello stesso governo borbonico" ma, scrive ancora D. Bertoni Jovine, si era trattato di un "fenomeno limitato conseguente a periodi di carestia". Con il raggiungimento dell'unità nazionale "le industrie del Nord trovarono migliori condizioni di sviluppo mentre nel Mezzogiorno la miseria divenne più dura": la "tratta dei fanciulli si localizzò nelle provincie napoletane, calabresi e lucane".

FW059) Fiume Serchio, Colonia elioterapica sul fiume, 1934

L'opinione pubblica era più indignata dallo spettacolo della mendicità che non, in generale, dall'occupazione giornaliera in duri lavori dei bambini negli opifici e nelle manifatture. Per questo l'intervento delle autorità ufficiali del neonato Regno d'Italia si volse, "prima ancora che alla regolazione del lavoro, alla repressione del vagabondaggio che costituiva una fastidiosa testimonianza, anche in terra straniera, della miseria e dell'arretratezza italiana". Nel 1869 e nel 1872  nel Parlamento italiano furono presentate proposte di legge che consideravano la tratta dei fanciulli, all'estero e all'interno, reato punibile con carcere e multe per i genitori che avessero consegnato i propri figli minori di 16 anni "a nazionali o stranieri" per impiegarli in professioni girovaghe. Le proposte non ebbero seguito soprattutto perché si riteneva inaccettabile l'intervento dello Stato nella vita familiare. Mentre in Italia si cominciava a discutere sulla questione dei bambini vagabondi, nei paesi industrialmente sviluppati erano in corso inchieste e studi sull'assunzione e la presenza dei bambini nelle fabbriche. Ma anche nell'arretrata industria nazionale, in Piemonte e nel Lombardo-Veneto era già evidente la tendenza ad adoperare più largamente la mano d'opera infantile per tenere basso il costo del lavoro specialmente nelle fabbriche tessili. Proprio nel Lombardo-Veneto era stata emanata nel 1844 una Disposizione tutelare del lavoro dei fanciulli che vietava, ad esempio, l'impiego dei bambini che non avessero compiuto i 9 anni e regolava la durata del loro lavoro: anche l'istruzione elementare di almeno due anni veniva prevista e, se i bambini non l'avevano, il proprietario doveva fornirla.

 

IN LUCCHESIA

 

In Lucchesia, zona preminentemente agricola, esistevano opifici, specie del settore tessile, che impiegavano molti "lavoranti" ed esisteva da tempo la Manifattura Tabacchi che impiegava soprattutto donne, ma la prima vera e propria industria sarà lo Jutificio Balestreri di Ponte a Moriano.

FW060) Bimbi imparano il mestiere di falegname (foto esposta alla mostra “Dall’abbandono all’assistenza. L’infanzia emarginata a Lucca nell’Ottocento” promossa dall’Archivio Storico Comunale e dall’Assessorato alla Cultura nel 2013)

Lucca città, negli anni 70/80 dell'Ottocento si distingueva per il permanere di mestieri artigianali che si svolgevano nelle botteghe, ancorché in diminuzione, presenti nelle sue vie. In queste botteghe di sarti, fabbri, falegnami, calzolai, orafi e argentieri e anche nelle numerose tipografie, imparavano i mestieri molti bambini come garzoni/apprendisti mentre per le bambine i lavori rimanevano nell'ambito familiare del lavoro tessile a domicilio anche se già parecchie prestavano le loro piccole mani negli opifici disseminati nel tratto cittadino del Pubblico Condotto. Nelle frazioni del Comune le attività prevalenti erano quelle agricole e sia i bambini che le bambine ad esse si dedicavano appena possibile, sempre in aiuto ai familiari.

I problemi del lavoro minorile precoce, rimasti, quasi del tutto, prima degli anni Ottanta dell'Ottocento, nell'ambito familiare si fecero più evidenti dopo l'apertura dello Jutificio Balestreri e l'inizio del processo di industrializzazione. Come in altre realtà italiane si tendeva ad assumere un gran numero di bambini per i lavori meno qualificati, di aiuto agli adulti (forse agli stessi genitori) e non si considerava affatto la tenera età come ostacolo al lavoro in ambienti umidi, malsani, pieni di polveri. L'apertura dello Jutificio comportava l'assunzione di manodopera e soprattutto di bambine, così, nel marzo del 1882, Emanuele Balestreri, attraverso lettera al Sindaco, chiede ai Pii Istituti di Lucca ragazzine dai 10 ai 14 anni da impiegare nel suo stabilimento di Ponte a Moriano. Alcune frasi della lettera sono significative:

“Stimai essere opera filantropica accoglierne un certo numero...”.
"L'intendimento è quello di contribuire a migliorare la sorte di molti esseri infelici..."
"...forse si avvantaggerebbero i Pii Istituti medesimi col diminuire in essi il numero dei ricoverati.”

FW061) Asilo infantile Regina Margherita (foto esposta alla mostra “Dall’abbandono all’assistenza. L’infanzia emarginata a Lucca nell’Ottocento” promossa dall’Archivio Storico Comunale e dall’Assessorato alla Cultura nel 2013)

L'opificio: “in amena località, godente aria sana e clima buonissimo. Vi sono annesse tutte le comodità intese al benessere dell'operaio. Cucine, dispense per oggetti di vestiario e viveri, medico ecc..” (...) “Un grandioso locale eretto ad uso di dormitorio è sottoposto alla sorveglianza delle Suore di Carità da me stabilitesi appositamente, le quali potrebbero incaricarsi delle giovinette”. Le giovinette devono essere dotate di “robusta e sana costituzione”. Avranno subito vitto e alloggio gratuiti e imparerebbero il lavoro possibile alla loro età, ”poi si penserebbe al loro migliore avvenire”.

La lettera di E. Balestreri, viene girata ai due istituti più grandi della città: i R.R. Spedali ed Ospizi, dove erano ospitati i trovatelli, e la Pia Casa di Beneficenza, dove erano ammessi bimbe e bimbi orfani. Il più sollecito nel rispondere è il direttore della Pia Casa, Luigi Moscheni. Avvertita della novità suor Cordiviola, Piccola Suora della Carità dell'Istituto di Francia, che seguiva il reparto femminile, ne riceve una risposta contraria a far uscire le bambine dallo "Stabilimento" considerando che “ci si allontanerebbe tutt'affatto dallo scopo della Pia Casa". Cordiviola pensa anche che da questo cambiamento ne potrebbero derivare “inconvenienti morali”. Il direttore, il 20 marzo, sentita la Commissione Amministrativa, rifiuta l'offerta dell'imprenditore genovese, pur  dichiarandosi “dolente” di non poter aderire: “...tale invio non sarebbe consentaneo alle discipline di questa Pia Casa, le quali impongono che le Alunne debbano ricevere entro lo Stabilimento l'educazione e l'istruzione ad esse conveniente”. Aggiunge anche che la risposta a questo tipo di richieste di orfani e orfane era stata negativa in altri “casi congeneri” e cita i Salesiani e l'impreditore lucchese Ing. Casentini.

Del 28 marzo è la risposta del Commissario dei RR Spedali ed Ospizi, “possibilista” ma sostanzialmente negativa:

1) Non ci sono in ospizio ragazzine dai 10 ai 14 anni: risiedono nelle famiglie che, spesso, le hanno avute neonate da allattare e che le tengono, quasi tutte, con affetto.

2) Qualche rara volta capita che rientrino in ospizio, quasi sempre per “malferma salute” o "imperfetta salute fisica”, in genere in età più tarda, dai 18 ai 25 anni.

3) Se capitasse qualche caso di bambine dai 10 ai 14 anni e di robusta e sana costituzione e si potrà ancora usufruire dell'offerta di E.B., se ne occuperà l'Ispettore Economo che ha come principale incombenza quella del collocamento degli Esposti.

 

FW062) Rifugio per fanciulli maltrattati e abbandonati presso Villa Demidoff a Bagni di Lucca, 1922 (foto esposta alla mostra “Dall’abbandono all’assistenza. L’infanzia emarginata a Lucca nell’Ottocento” promossa dall’Archivio Storico Comunale e dall’Assessorato alla Cultura nel 2013)

Il Sindaco di Lucca, ricevute le risposte dei due Istituti, il 30 marzo comunica il risultato delle “pratiche fatte” al Sig. Balestreri che replica il 1 aprile, ringraziando il Sindaco  e aggiunge che vedrà in seguito “...se si presenterà l'occasione di poter essere utili ai disgraziati...”.

Richieste di questo tipo non erano insolite: molti istituti per minori concedevano ai proprietari delle fabbriche la possibilità di far lavorare i loro piccoli ospiti nell'industria, ad esempio a Lecco erano mandati nelle fabbriche i ragazzi del grande ospizio milanese degli Estensi e questo ben prima del 1882. A Lucca, però, questo non sarebbe stato possibile, non sarebbero stati inviati agli opifici poiché ciò contrastava con una cultura tradizionale che vedeva nell'artigianato, nell'agricoltura e nei servizi il destino dei piccoli assistiti. Troppo scompiglio avrebbe provocato nell'andamento degli "Stabilimenti" della città e sarebbe stato in contrasto con i Regolamenti; figuriamoci, poi, se si richiedevano bambine.

Nella nostra città esistevano, abbiamo visto, Istituti per il ricovero e l'assistenza ai bambini poveri. Due erano quelli più grandi che potevano ospitare numerosi bambini e bambine. Diversi, vedremo, come finalità.

 

Il BREFOTROFIO o Ospizio dei lattanti (presso l'Ospedale, Parrocchia di San Luca) e la PIA CASA DI BENEFICENZA

 

FM004) Frontespizi dei Libretti degli Esposti (ASLu, Reali Ospedali e Ospizi, Scritture di Protocollo, 1859, 648 e 657, Filza 549)

Immagini tratte dalla Tesi di laurea di Donatella Lenzi, “La numerosa famiglia d'infelici. L'ospedale di San Luca e gli esposti a Lucca nella seconda metà dell'Ottocento”, ms., Università di Firenze, A.A. 1995/96. Fotocopia da scanner.

Il Brefotrofio era suddiviso in due edifici: l'Ospizio Esposti in Via del Crocifisso n. 1 e l'Ospizio di Maternità, in Piazza San Donato, n. 8. (A.S.C.Lu, Censimento della popolazione 1881). Il primo edificio era composto di 5 stanze a pianterreno e 27 stanze ai piani superiori, non erano presenti stanze sotterranee né soffitte. Al 31 dicembre 1881 erano presenti al suo interno 5 maschi e 123 femmine, tutti con dimora abituale. Delle femmine, la più giovane era nata nel 1876, la più vecchia nel 1798. 46 di esse sapevano leggere e scrivere, 11 soltanto leggere e 66 erano analfabete. Dei 5 maschi 1 sapeva leggere e scrivere. Interessanti i cognomi che venivano assegnati alle Figlie dello Spedale di Lucca: Massa, Cune, San Ginese, Toringo, Granajola, San Macario, Piazzano, Lunata, Coreglia, Collodi, Gello, Gattajola, Capannori, Controni, Casabasciana, Pescaglia, San Concordio, Santa Maria a Colle, Boveglio, Compito, Guamo, Diecimo - tutti nomi di frazioni della provincia di Lucca che non indicavano però il luogo di provenienza delle trovatelle.

L'Ospizio Esposti, scrive il Prefetto Bernardino Bianchi, nel 1879, "somministra(va) il personale di servizio negli Ospedali". (Consiglio Provinciale di Lucca - seduta dell'11 agosto 1879 -, Relazione del Comm. Bernardino Bianchi prefetto della Provincia, Tipografia Giusti, Lucca, 1879).

L'Ospizio di Maternità, era composto di 14 stanze ai piani superiori. Al momento del Censimento erano presenti al suo interno 12 maschi e 29 femmine, in totale 41 persone. Maestra dell'Ospizio di Maternità era Ortenza Pescaglia, Figlia dello Spedale, nata nel 1827. La levatrice si chiamava Teresa Mei, fu Angelo Biagi, coniugata con Carlo Mei, nata a Viareggio nel 1844. Maestra e levatrice erano alfabetizzate. C'erano poi 5 donne con qualifica di "servente": tutte trovatelle o Figlie dello Spedale, tutte nubili, 4 alfabetizzate, una no. La loro età andava dai 23 ai 59 anni, ignoto il luogo di nascita. Le nutrici erano otto, 6 delle quali con dimora occasionale e 2 con dimora abituale; tutte sono figlie legittime, l'età va dai 17 ai 42 anni, 5 sono nubili, 2 vedove, 1 coniugata. Solo una sapeva leggere e scrivere. I loro luoghi di nascita erano Castelnuovo Garfagnana (1), Lucca (2), Buggiano (2), Minucciano (1), Pescaglia (2). E c'erano altre 8 donne così classificate: 2 domestiche (1 con dimora abituale), 2 contadine e 4 contadine braccianti tutte con dimora occasionale, tutte nubili meno una, di età dai 18 ai 29 anni: 3 su 8 sapevano leggere e scrivere. Sono forse donne che hanno partorito o devono ancora farlo.

E poi c'erano i bambini:

15 i neonati nati in dicembre (tranne uno di 7 mesi). Un bimbo di 1 anno. Una bimba di 2 anni. Una ragazzina di 15 anni che non sa leggere né scrivere. Dei 15 neonati, 11 sono maschi e 4 femmine. I cognomi che sono stati assegnati in questo periodo sono del tutto inventati come quelli in uso allo Spedale degli Innocenti di Firenze: Morri, Vassi, Cadoni, Moleni. Di tutti i 18 bambini sappiamo il luogo di nascita: Lucca 9, Capannori 2, Pietrasanta 1, Pescia 2, Buggiano 2, Borgo a Mozzano 1, Coreglia Antelminelli 1. La loro dimora viene definita abituale.

FW050) Porta San Donato vecchia (1590) oggi isolata in seguito alla demolizione e spostamento in avanti delle mura del baluardo omonimo (1628-9), a destra l'ospedale San Luca o Galli Tassi

La presenza delle 6 nutrici con dimora occasionale ci indica, probabilmente, che esse stiano allattando o abbiano accompagnato gli esposti all'Ospizio. Vediamo, quindi, che sono due i luoghi dove vengono ospitati i figli dell'Ospedale di Lucca. Nel primo, l'Ospizio Esposti, troviamo gli adulti, nel secondo, l'Ospizio di Maternità, i neonati abbandonati insieme alle madri, alla levatrice, alle nutrici. Da questi dati non avremmo, però, presente la situazione dei nostri trovatelli che erano numerosi e qui non compaiono, poiché la maggior parte di essi si trovavano fuori, da balie della campagna, in genere, che per il loro primo anno di età li allattavano. I bambini e le bambine che venivano abbandonati erano classificati, in primo luogo, come illegittimi o legittimi ma a Lucca era rarissimo l'invio di neonati legittimi all'Ospizio di Maternità e solo nei casi tragici di morte della madre (che non era rara) o nella impossibilità dell'allattamento per malattia o altro. I legittimi venivano affidati per un anno a una nutrice e rimandati poi in famiglia. Tutti gli altri, illegittimi, dopo le prime cure, uscivano dall'Ospizio con una nutrice che veniva pagata per allattare un anno e, quando il bambino diventava "da pane" (fino a un anno di età era "da latte"), sollecitata a tenere il bambino presso la sua famiglia ancora con un sussidio.

L'esposizione dei figli legittimi costituiva un grosso problema specie nelle grandi città come a Firenze, ad esempio, dove per il tramite della Ruota, si potevano abbandonare nascostamente figli che venivano ad appesantire il carico familiare: generalmente si ponevano dentro le loro fasce oggetti (medaglie spezzate, monete, vestiario particolare) che  rendessero poi possibile il riconoscimento; si pensava quindi di riprenderli. Anche a Lucca era esistita la Ruota, chiamata da Pietro Pfanner "boccaiola" ma era stata sempre poco usata, rimaneva sui Regolamenti ma "la relativa eccezionalità delle esposizioni clandestine non rese mai così necessaria e urgente" la sua formale abolizione (Tesi di laurea di Donatella Lenzi, "La numerosa famiglia d'infelici. L'ospedale di San Luca e gli esposti a Lucca nella seconda metà dell'Ottocento", Università di Firenze, A.A. 1995/96, pag. 72).

Dalla seguente tabella emergono dati più completi riguardo ai Trovatelli lucchesi.

 

Movimento dei bambini assistiti a cura dei Brefotrofi, sia nell'interno degli Istituti sia a baliatico esterno nell'anno 1887

Lucca anno 1887

Italia anno 1887
Bambini presenti all'interno o fuori dall'Istituto al 1° gennaio

legittimi da latte 5
legittimi da pane 0
illegittimi da latte 119
illegittimi da pane 1092

920
555
17625
81740

Bambini ammessi durante l'anno

legittimi da latte 8
legittimi da pane 0
illegittimi da latte 208
illegittimi da pane 0

1838
81
1420
242

Bambini che cessarono di essere assistiti

per morte:

legittimi da latte 4
legittimi da pane 0
illegittimi da latte 90
illegittimi da pane 37

altre cause:

legittimi latte 5
legittimi pane 0
illegittimi latte 2
illegittimi pane 51

per morte:

505
44
8307
37827

altre cause:

825
279
573
7492

Bambini rimasti in Istituto o presso allevatrici esterne al 31 XII

legittimi da latte 4
legittimi da pane 0
illegittimi da latte 108
illegittimi da pane 1131

1113
628
18128
82682

Bambini rimasti in Istituto al 31 XII (legittimi e illegittimi)

da latte 16
da pane 131

852
1903

Bambini presso allevatrici esterne (legittimi e illegittimi)

da latte 96
da pane 1000

18389
81407

 

FW051) Porta San Donato vecchia, primi anni del '900

Si nota subito il numero piuttosto basso di bambini legittimi presenti in istituto che, dopo l'anno del latte, cessavano di essere assistiti. A gennaio 1887 risultano più di 1000 illegittimi "da pane" che divengono 1131 alla fine dell'anno. Dentro l'ospizio alla fine dell'anno restano 16 bambini "da latte" e 131 "da pane", un numero basso, in linea col dato del Censimento 1881; l'equilibrio del Brefotrofio derivava dunque dal lasciare alle nutrici esterne e alle loro famiglie i neonati dati in allattamento concedendo loro un sussidio. Ai tenutari dei bambini venivano pagate annualmente L. 144 per i bambini da 1 ai 2 anni, L. 60 dai 2 ai 6 anni, L. 36 dai 6 ai 10. Solo per le femmine il sussidio permaneva anche dagli 11 ai 12 anni ed era di L. 28 (ASLu, Lettera del direttore dei R.Ospedali e Ospizi al Prefetto di Lucca, Scritture del Protocollo, a. 1878). La maggior parte dei trovatelli rimaneva dunque presso famiglie affidatarie e questo permetteva all'Ospizio Esposti di mantenere un numero assai esiguo di bambini "da pane" e di fornire loro un lavoro da adulti: chi rimaneva presso le vecchie balie o presso altri affidatari generalmente era destinato ai lavori agricoli, i rimasti, o rimandati in Ospizio sarebbero stati impiegati, maschi e femmine, nei servizi dei Reali Ospedali, in cucina, per le pulizie, come aiuto infermieri. Il numero dei bambini illegittimi deceduti sotto l'anno di età (da latte) è di 90: una percentuale di circa il 27,5% che rimaneva al di sotto di quella degli altri Brefotrofi italiani (43,6%).

FW052) Porta San Donato Vecchia, foto scattata tra il 1925 e il 1930

Nell'Istituto fiorentino degli Innocenti erano "(...) costantemente segnalate l'alta mortalità degli esposti, la difficoltà di reperire balie per allattare i gettatelli prima di inviarli a balia (...) e anche la scarsità di balie di campagna e i pochi mezzi per pagarle e per mantenere la famiglia interna". Ma il nostro Brefotrofio non spiccava certamente tra gli altri né per spazi salubri né per igiene. G. De Navasqués, in "Reparto di Maternità di Lucca. Resoconto statistico sanitario del decennio 1875-1884", Tipografia Giusti, Lucca 1885, scrive: "(...) il nostro ospizio non ha di Maternità che il nome (...) il locale non è conciliabile con le più volgari esigenze dell'igiene, né con quelle imprescindibili della carità, della disciplina, delle convenienze, e della moralità". Nel decennio 1875-1884 erano stati accolti 1834 esposti che, dopo l'anno del latte, ricondotti all'Ospizio, non potendo subito essere collocati a tenuta, si trovavano in un locale che riusciva "funesto" e di grandissimo danno per la loro salute e, purtroppo, il progetto di "trasloco dell'Ospizio mortifero" che era stato previsto dall'Amministrazione provinciale nel 1875 insieme ai lavori del nosocomio, rimase allo stato di progetto e, il locale, dopo dieci anni era sempre "nell'orribile stato di prima". Nel 1898 il Brefotrofio lucchese si trovava ancora in quelle condizioni (Reali Ospedali e Ospizi di Lucca, "Relazione della gestione provvisoria del R. Commissario Alfredo Conti medico provinciale", Tip. Alberto Marchi, Lucca, 1898). Nella sua relazione il dottor Conti cita abbondantemente un resoconto che l'ispettore sanitario del Ministero dell'Interno, commendator Germonio, visitati Brefotrofio e ospizio Esposti, aveva compilato. Ecco le parole di Germonio: "L'ospizio degli esposti lattanti (...) ha bisogno per essere migliorato solamente del piccone (...) Non parlo della parte destinata al ricovero degli esposti, un vero e proprio scannatoio, dove questi infelici in generale rachitici, scrofolosi e anche tubercolosi dormono in sottotetti quasi privi di quell'aria e di quella luce di cui avrebbero tanto bisogno, soffocati da caldo nell'estate, assiderati nell'inverno (...)".

Sappiamo che un nuovo Brefotrofio non fu mai approntato e che il problema dell'Ospizio Esposti fu risolto chiudendolo. Il 14 luglio 1914 si stipulò una convenzione tra "il Commissario prefettizio dell'Ospedale e l'Amministrazione della Pia Casa di Beneficenza secondo la quale, compiuta l'età di 4 anni, i bambini esposti sarebbero stati accolti" proprio nell'istituto lucchese destinato agli orfani (Tesi D. Lenzi, cit.).

FW053) Porta San Donato Vecchia, facciata cinquecentesca ripristinata nel 1925; a sinistra la Vetreria Mencacci poi demolita che produceva fiaschi; dietro il maneggio coperto costruito nel 1876 dal Comune ad uso del reggimento di cavalleria di stanza a Lucca

Un vanto di cui poteva andar fiero l'Ospedale di Lucca era quello di aver organizzato i primi soggiorni marini  e le cure dei bagni di mare proprio per i trovatelli che si trovavano "in condizioni fisiche tristi e bisognevoli quindi di cure salutari". Questo già a partire dal 1822 quando pochi bambini venivano affidati a privati cittadini di Viareggio che li alloggiavano e mantenevano "a un tanto per uno" (Vito Tirelli e altri, "Cassa di Risparmio di Lucca 150 anni", Matteoni, Lucca, 1987). Nel 1842, su proposta dell'allora direttore dell'Ospedale, Antonio Ghivizzani, fu acquistato un locale appartenuto a una caserma di carabinieri che ospitò, tra il 1841 e il 1863 "ben 2110 trovatelli" (Tesi Lenzi, pag. 150).

Proprio dal 1863, "poiché scrofola, rachitismo e tutte le altre malattie erano molto diffuse fra la popolazione infantile povera, si pensò di estendere anche a quest'ultima disgraziata categoria sociale il diritto alle cure e al soggiorno marino". Mentre per i bambini esposti i costi del mantenimento erano a carico dell'Amministrazione ospedaliera, per tutti gli altri contribuiva alla spesa la Provincia (dal 1887 anche la Cassa di Risparmio di Lucca iniziò a concedere sussidi, poi divenuti "somma corrispondente alla spesa per 300 posti"(Tesi Lenzi, cit.).

In una tabella contenuta nella citata relazione del prefetto B. Bianchi e riguardante gli anni 1876-78, si contano per il primo anno 365 bambini assistiti (maschi e femmine), distribuiti in quattro turni; diventano 370 nel 1877 e 397 nel 1878. Nei tre anni 1132 piccoli ospiti e quasi sempre in numero maggiore le bambine.

L'altro ospedale che dava cura e sollievo agli esposti adulti era il Demidoff, a Bagni di Lucca e ospitò in quegli stessi anni 798 individui, anche qui  in numero maggiore donne.

 

PIA CASA DI BENEFICIENZA, Via Santa Chiara

 

L'edificio si componeva di 17 stanze al pianterreno e 49 ai piani superiori. Erano presenti al 31/12/1881 93 maschi e 102 femmine per un totale di 195 persone.

 

Fasce d'età
Maschi
Alfabetizzati
Non alfabetizzati
Capaci solo di leggere
Femmine
Alfabetizzate
Non alfabetizzate
Capaci solo di leggere

5-9

10-15

16-25

25-45

46-55

56-65

66-82

Totali

16

45

10

4

2

7

8

92

9

44

10

3

2

5

2

75

7

1

0

1

0

2

6

17

0

0

0

0

0

0

0

0

10

22

21

11

11

14

8

97

1

21

20

5

2

3

5

57

9

1

1

2

3

9

1

26

0

0

0

4

6

2

2

14

 

FW054) Piccoli ospiti

FM007) L'aula della prima classe elementare in una cartolina non databile

CR066) Traccia di affresco visibile dal chiostro dell'edificio. Probabilmente adornava l'ingresso del "Teatro dei Borghi"

FM006) Veduta del chiostro in una cartolina non databile

 

FW055) Stato di Consistenza del Magazzino dell'istituto 1887

Ricevuta di Erasmo Marcucci a Giovanni Gabellini, capoguardia della Pia Casa di Beneficenza di Lucca, “per un desinare di Numero 41 bambini...”. La spesa fu di Lire 69 (ASCLu, Fondo Pia Casa di Beneficenza, Scritture del Protocollo, a. 1889, n. 496)

Note: La “gita alla campagna” si svolgeva tutti gli anni in una domenica di bel tempo del mese di ottobre. I ragazzi più grandi raggiungevano l'incile del Pubblico Condotto, a piedi, con uso di carrozze o anche della Tramvia di E. Balestreri e avevano poi un desinare nella Locanda di Erasmo Marcucci.

FM008) La cappella in una cartolina non databile

FW056) Via del Giardino Botanico, Istituto Santa Dorotea fondato il 24 aprile 1855. Educande festeggiano il Carnevale, 1923

 

Sono escluse dal numero delle femmine le 5 Suore Figlie della Carità che erano tutte alfabetizzate. I maschi e le femmine di età superiore ai 25 anni sono cuoche, guardie di vigilanza e altro personale di servizio. Persisteva ancora un piccolo numero di anziani (maschi e femmine) che non potevano essere collocati altrove.

In questo istituto, che fu diretto per più di trent'anni (dal 1872 al 1903) dall'avvocato Luigi Moscheni venivano ammessi, in maggioranza, bambine e bambini orfani dai 4 ai 10 anni che rimanevano generalmente fino ai 17 anni compiuti ("al toccare dell'anno diciottesimo") se maschi, e fino ai 21/25 se femmine. I maschi frequentavano le scuole comunali di Piazza Santa Maria Forisportam e avevano anche una sorta di doposcuola serale anche quando già erano coinvolti in attività lavorative; per le femmine la scuola era interna e diretta da una Figlia della Carità e così tutta l'attività lavorativa.

I mestieri esercitati dai maschi, che in genere venivano svolti nelle botteghe della città, erano quelli di sarti, calzolai, fabbroferrai, falegnami, tipografi, cappellai, vernicisti, orefici, ombrellai, marmisti, legatori di libri, sellai, tappezzieri, fornai. Artigiani, quindi, in qualche caso nel terzo settore (domestici, commessi di negozi, ecc.) ma non si inviavano ragazzi negli opifici o nelle nascenti industrie.

I bambini presenti nella Pia Casa dopo aver terminato il breve corso di studi venivano inviati generalmente alle botteghe artigiane presenti in città. Erano gli stessi proprietari delle botteghe a richiederli, spesso proprio nominalmente, rivelando una rete di rapporti di conoscenze all'interno della città: si richiedeva quel particolare bambino perché si erano conosciuti i genitori, i parenti, perché si abitava nelle stesse vie o in quelle vicine, perché gli zii o i nonni del bambino conoscevano l'artigiano.

I mestieri delle femmine rimanevano relegati all'interno dello "Stabilimento" e consistevano nel cucire, nel tessere, nel filare, nell'incannare, nel fare calze (alla fine del 1881 risultano 51 femmine che svolgono le attività di calzettaia e cucitrice, 9 di filatrice, 6 di tessitrice). Tutte attività storicamente considerate adatte alle donne e da espletare all'interno dell'Istituto. Le piccole mani delle bambine si esercitavano ben presto con aghi, ferri, stoffe, lane e dal 1886 poterono utilizzare anche una macchina “da cucire” che fu acquistata per 100 lire nel negozio di Narciso Landucci. Il direttore Moscheni così giustifica alla Ragioneria della Pia Casa questo acquisto: “Per quanto l'arte del cucire consista principalmente nel saper lavorare con l'ago, e debbano precipuamente in questo modo di lavoro addestrarsi le donne, l'ingegnoso progresso della scienza è riuscita a supplire oggi in una maniera veramente mirabile al più lungo e paziente lavoro della mano con la invenzione delle macchine da cucire; e sarebbe incompleta la istruzione domestica di una donna se almaneggiare dell'ago non aggiungesse la pratica del lavoro a macchina. Questa ragione imponeva  che anche per l'istruzione delle Alunne di questa Pia Casa si acquistasse una macchina da cucire...”. Le bambine si esercitavano, quindi, in attività che le avrebbero portate a divenire, una volta uscite, brave madri di famiglia o esperte domestiche in case “particolari”: sapevano leggere e scrivere, rammendare, aiutare le cuoche in cucina, cucire e soprattutto avevano incamerato pazienza e parsimonia.

La nascente industrializzazione con la possibilità anche per molte donne di un impiego negli opifici lucchesi non sembra entrare nella mentalità della direzione dell'orfanotrofio lucchese. Eccezioni ce ne furono ma gestite con la massima cautela: eccone due esempi.

 

“...poco confacente esporsi alle esalazioni del tabacco talora nocive.”

 

La Manifattura Tabacchi occupava un gran numero di donne e nella gestione delle assunzioni una parte dei posti erano riservati alle figlie di lavoratrici decedute. Così accade a Antonietta Asciutti, alunna della Pia Casa dal 1884: il padre Achille, falegname e la madre Angela Barsotti, sigaraia, muoiono a distanza di pochi mesi l'una dall'altro, ambedue per “etisia” (1). Nel 1886, Antonietta, minorenne, viene convocata a presentarsi in fabbrica, secondo la regola che vedeva le figlie sostituire le madri nei lavori della Manifattura Tabacchi. Il direttore Moscheni scrive al Pretore di Lucca-città affinché convochi il Consiglio di famiglia (costituito dagli zii paterni e materni) e aggiunge di ben capire che per la ragazza questo posto sarebbe la maniera di “assicurarsi un guadagno generalmente ambito e bastantemente lucroso” ma che “sarebbe meglio per il momento soprassedere” (se Antonietta non perdesse il suo diritto) e continua spiegando che questo collocamento si scontra con “l'età e la delicata complessione” per la quale sarebbe “poco confacente esporsi alle esalazioni del tabacco talora nocive”. Antonietta non andrà alla convocazione e uscirà dalla Pia Casa nel 1892.

 

“Bisogna vedere se la ragazza si presterà a lavorare al Balestreri

 

Un altro caso interessante è quello di Teresa Ghianda, ammessa nel 1874 dopo la morte della madre. Ha nove anni, un padre acquajolo, una sorella di 15 anni e un fratello di 12. Viene ammessa con “un vestiario assai decente” e risulta “male affetta d'occhi”. Resta 11 anni nella Pia Casa e quasi maggiorenne “vuol sortire” dallo Stabilimento per tornare col padre, adesso risposato e abitante in Via Pozzotorelli n. 840, Piano 1°, Corte del Paoli. Il padre è restìo a prenderla in casa e Teresa si sfoga col direttore Moscheni che scrive, il 17 novembre 1885, una lettera all'Ispettore di P.S. di Lucca facendo presente che la ragazza “(...) ha ricevuto la educazione della quale era capace, perché sin d'allora alquanto infelice nella vista (...) e che sopra tutto si è esercitata nel tessere, nel qual mestiere è riuscita assai abile”. Teresa, continua il direttore, è quasi maggiorenne, è abile a proficuo lavoro ma il padre “non la vuole” e la ragazza minaccia di fuggire. Termina la lettera invitando l'Ispettore a convincere il padre a fare “il proprio dovere”. Questi risponde il 10 dicembre facendo presente che il padre “non guadagna assai” e che la moglie è spesso assente da casa. Propone allora di farla lavorare alla Fabbrica Balestreri “ove avrebbe vitto e alloggio”. Il direttore Moscheni, il 18 di quello stesso mese, replica che non gli “sembrano buone le ragioni, e dirò meglio,  pretesti allegati da suo Padre e dalla sua matrigna per opporsi al suo ritorno in famiglia”, considera opportuna la proposta ma, dice testualmente, “bisogna vedere se la ragazza si presterà a lavorare al Balestreri” e termina dicendo che “se il Padre e la matrigna continueranno l'opposizione, dia pure luogo a pratiche a tal effetto”. Dopo quattro mesi una guardia di P.S. si reca alla Pia Casa per prendere Teresa che è stata ammessa come “operante” nella Fabbrica del Balestreri a Ponte a Moriano. Teresa però non si trova bene e lavorando tra le addette al disfacimento della juta si sente in pericolo per la propria salute per la molta polvere e, dice il Moscheni, “mal consigliata”, abbandona la Fabbrica e ritorna nel luogo che l'aveva accolta bambina. Il direttore comunica allora il fatto all'Ispettore di P.S. e lo avvisa di aver trovato la soluzione in “un buon zio materno”, falegname, che insieme alla moglie l'hanno accolta in casa (la Pia Casa fornì il letto e un sussidio in pane). Gli zii vorrebbero impiegare la nipote alla Manifattura, termina Moscheni, “può Lei favorire in qualche maniera questo lor desiderio?”.

La Pia Casa di Beneficenza dal 1851 al 1895 era situata nell'antica Villa Guinigi, chiamata a volte Salone o Palazzo dei Borghi o, popolarmente, Palazzaccio e "benché meritasse esser chiamato dagli storici nostri opera di regale munificenza quando nei primi del 1400 Paolo Guinigi lo facea murare per suo diporto, adornandolo di vasti e deliziosi giardini, con l'andar del tempo, distrutta ogni amenità di sito, oppresso da casupole, e recentemente anche, con infelicissimo consiglio, inquinato dalla prossimità dei pubblici ammazzatoi, aveva aggiunto i difetti della insalubrità e della mancanza di opportuni accessori alle forme interne dell'edifizio poco adatte alla cambiatane destinazione in asilo di orfani e mendicanti". Queste parole furono lette (e stampate in un opuscolo) dal direttore della Pia Casa Luigi Moscheni, nella "solenne" inaugurazione del nuovo ricovero e cioè nella cosiddetta "trasmigrazione" da Villa Guinigi all'ex Monastero di Santa Maria degli Angeli (settembre del 1895).

Oltre i due istituti maggiori citati, ne esistevano altri che ospitavano i bambini e le bambine, generalmente condotti da ordini religiosi. In questi istituti si educavano e istruivano, insieme ai figli di famiglie in grado di pagare una retta, anche un certo numero di bambini cui provvedeva "la carità". A Lucca erano due: l'Istituto Santa Dorotea, per le bambine, e l'Ospizio Santa Croce, gestito dai Salesiani.

 

CR067) Via del Giardino Botanico, istituto Santa Dorotea oggi (2014)

ISTITUTO DI SANTA DOROTEA, Parrocchia di Santa Maria Forisportam, Via del Giardino Botanico n. 19

 

L'edificio si componeva di 5 stanze al pianterreno e 26 ai piani superiori. Erano presenti 101 femmine, 56 con dimora abituale e 45 con dimora occasionale. Le educande erano 62 tra bambine (1 sola di 4 anni) e ragazze dai 7 ai 19 anni di età, 22 delle quali di Lucca, 10 di Capannori, altre 13 di località della nostra provincia; le altre, una minoranza, di varie città della Toscana e d'Italia. Le bambine provenivano in maggioranza da famiglie di possidenti, impiegati, negozianti, fra questi vi erano anche un avvocato, un banchiere, 2 dottori in medicina, un "capitalista". I benefattori, così sono definiti coloro che pagavano la retta per qualche bambina, erano quattro. Ed erano, appunto, 4 su 62 le bambine le cui famiglie non potevano pagare la retta. Si educavano bambine a partire dai 7 anni di età.

OSPIZIO SANTA CROCE, Convitto in Piazza San Pietro Somaldi

 

Fabbricato: 8 stanze al pianterreno, 13 ai piani superiori, 3 soffitte. Erano presenti 100 maschi, 30 con dimora abituale, 70 con dimora occasionale.

I Salesiani arrivano a Lucca nel 1878 e, in un primo tempo, danno aiuto alle scuole catechistiche, poi istituiscono il Convitto (dapprima gratuito poi con piccole rette). Tenevano 60-80 alunni con scuole interne elementari e ginnasiali e laboratori di falegnameria, calzoleria e sartoria. La sede era in Piazza San Pietro Somaldi, Palazzo Bertocchini, che era unito con un passaggio interno all'Oratorio della Croce, in Via Busdraghi. Secondo Pietro Pfanner la popolazione "non corrispose agli sforzi" dei Salesiani soprattutto per "l'opposizione degli avversari" ma anche "per difficoltà finanziarie" (2). I Salesiani chiusero il loro Convitto nel 1893 per aprirlo a Collesalvetti.

Dalle schede del Censimento risultano presenti 5 sacerdoti tra i quali due maestri e un catechista, un subdiacono maestro, 6 chierici, un libraio e un maestro superiore, tutte persone provenienti da località piemontesi la cui età andava dai 17 ai 31 anni. Un ambiente piuttosto giovane in confronto agli altri istituti gestiti da religiosi. I convittori erano 77, dai 7 ai 16 anni di età. 18 di essi erano a carico della Carità, gli altri avevano famiglie che potevano pagare la retta. I capifamiglia dei ragazzi erano "possidenti". Spiccavano 3 "notari". Solo 6 provenivano da Lucca (città e campagna), gli altri dalla Provincia (specialmente Media Valle, Garfagnana, Camaiorese). Le persone che svolgevano i servizi (cuoco, 3 camerieri, 1 infermiere, 1 portinaio, 1 capo calzolaio, 1 caposarto) erano quasi tutti originari di località piemontesi o comunque non lucchesi. Soltanto il barbiere era di Lucca.

FW057) Venanzio Bartolomei acquistò, nella seconda metà del XV sec., una casa nella parrocchia di San Pietro Somaldi, così come fecero anche altri componenti della stessa famiglia. Il nucleo di edifici, frutto della ristrutturazione di molteplici case avvenuta tra la fine del XV e tutto il XVI sec., accostato al campanile della Chiesa di San Pietro, risulta da un terrilogio del 1547 ancora di proprietà dei Bartolomei. Collegati da un camminamento del giardino pensile che unisce i due corpi allungati ai lati del bel cortile interno, si differenziano per essere, il primo a sinistra, a pianta trapezoidale, il secondo a destra a pianta rettangolare e compatto nella forma. Entrambi presentano lo stesso linguaggio formale e progettuale che sostanzialmente caratterizza l'architettura dell'intera piazza. Le finestre presentano, anche qui, il motivo delle mostre; nel XVIII sec. questi palazzi risultano di proprietà Bernardi Baroni, poi, a cavallo tra '800 e '900 diviene proprietà dei Bertocchini.

Si noti l'orologio sulla torre campanaria della chiesa, oggi non più esistente.

CR068) Ex Convento di San Nicolao Novello con scritta (quasi scomparsa) "Asilo Regina Margherita" (2014).

CR069) Ingresso da Via San Nicolao n. 36 (2014)

GLI ASILI INFANTILI

 

Un problema dibattuto a Lucca, già da molti anni prima, era quello delle fasce d'età minori, quello dei bambini e delle bambine della classe lavoratrice che dai 2 anni e mezzo ai 6 erano, sostanzialmente, privi di assistenza durante la giornata lavorativa dei genitori, praticamente abbandonati.

L'insegnamento primario era il punto che "più direttamente coinvolgeva il destino delle classi povere anche perché poneva sul tappeto il problema del lavoro minorile" (3), ma era altrettanto indispensabile la cura dell'infanzia in età pre-scolare. Già nel 1836 a Lucca si richiedeva l'istituzione di una Sala d'asilo “o sia d'una scuola infantile” per “educare i bambini del povero”. In quelle scuole sarebbero stati “custoditi da mattina a sera” i bambini miserabili ai quali sarebbe stata data alimentazione e istruzione. Questa “nobile e pia instituzione, nata non da molto in Inghilterra, è ormai sparsa in tutte le contrade di Europa ed ha preso piede anche nella nostra Italia; e già la Lombardia austriaca principalmente e la Toscana ne sperimentano i salutari effetti”. (Giuseppe Giorgi, Michele Ridolfi, Serafino Lucchesi, Antonio Ghivizzani, "Ai Lucchesi: invito per l'Istituzione di una Sala di Asilo"). Aprire queste scuole è necessario perché "la classe dei fanciulli poveri costituisce nelle Città il diciottesimo della popolazione, e gli orfanotrofi anche i meglio provveduti ricoverano appena il centesimo dei figlioli orfani di genitori dai sette ai diciotto anni (...) i fanciulli sono tenuti in un dannevole ritiro in casa" o abbandonati per le strade a mendicare; nelle scuole pubbliche sono ricevuti all'età di sei anni, bisogna provvedere prima. Quindi nelle Scuole Infantili si riceveranno "dalla mattina alla sera i fanciulli dell'età dai due e mezzo ai sei anni, e principalmente figli di vedove o di artigiani carichi di numerosa prole". Ad essi, "oltre l'educazione intellettuale, morale e fisica adattata a questa età, oltre il vantaggio della comune disciplina" verrà gratuitamente somministrato un sufficiente alimento. In questo modo si procurerà "un luogo sicuro di ricovero ai figliuoli dei lavoratori poveri per tutto il tempo che essi debbono occupare nel travaglio e si solleveranno, in parte i genitori dal mantenimento dei propri figliuoli sicché far possano maggiori risparmi da riserbarsi ai giorni dell'infortunio e da impiegarsi per le spese dell'istruzione scolastica negli anni avvenire".

Il Regolamento organico del Società per gli asili e scuole infantili nella città di Lucca, viene pubblicato nel 1844, approvato e firmato dal Duca Carlo Lodovico. Un'interessante Relazione sanitaria del dottor Nicolao Cerù (medico degli Asili) ci informa che nel settembre 1843 vengono accolte le prime sei bambine che sono già 42 il primo novembre. La prima scuola infantile lucchese che viene aperta accoglie solo bambine. Il luogo dove operava l'asilo infantile, femminile e poi anche maschile, era un locale presso la chiesa di Sant'Agostino. Ma i locali, anche per la presenza sempre più numerosa di bambine e bambini, erano "angusti" e poco funzionali, così, quando il Comune di Lucca (1886) ebbe la piena proprietà di alcuni locali più vasti e salubri nell'ex Monastero di San Nicolao Novello, si pensò di trasferirvi l'Asilo, poi nominato Regina Margherita, una volta terminati i lavori necessari. La vicenda di questo trasferimento fu lunga e legata al funzionamento di almeno una sezione come Giardino Froebeliano, dove le ragazze della Scuola Normale avrebbero appreso "le buone pratiche per l'educazione dei bambini" secondo quel metodo pedagogico. Ne 1894 l'Asilo si trasferì in via San Nicolao con concessione da parte del Comune dell'uso gratuito dei locali.

 

NOTE

(1) F. Petrini, op. cit., pp. 69-70
(2) Angela Vannucci, Fabbrica, Parrocchia, Borgata nella "Società cattolica" Lucchese dell'ultimo quarto del secolo XIX: Gli stabilimenti Balestreri nel territorio di Saltocchio al Ponte a Moriano, tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, A/A 1994-1995.
(3) Vito Tirelli, La beneficenza a Lucca durante il secolo XIX. Istituzioni e Società, in Cassa di Risparmio di Lucca 150 anni, parte seconda, pag. 145 e nota 50.

 

FD142) La Torre delle ore, anno 1, n. 6, 27 Giugno 1897, pag. 1, "Ancora il Brefotrofio"

BIBLIOGRAFIA

 

G. Di Bello, L'identità inventata, Cognomi e nomi dei bambini abbandonati nella Firenze dell'Ottocento, Centro editoriale toscano, Firenze, 1993.
G. Di Bello, Senza nome né famiglia. I bambini abbandonati nell'Ottocento, Luciano Manzuoli editore, Firenze, 1989.
D. Bertoni Jovine, L'alienazione dell'infanzia. Il lavoro minorile nella società moderna, L. Manzuoli ed., Firenze, 1989 (ristampa).
T. Fanfani, R. Papini, V. Tirelli, Cassa di Risparmio di Lucca, 150 anni, Matteoni, Lucca, 1987.
F. Petrini, Aspetti dell'industrializzazione in Lucchesia: 1880-1901, in Documenti e studi, semestrale dell'Istituto Storico della Resistenza in provincia di Lucca, n. 5, 1986, pp. 5-101.
G. De Navasques, Reparto di Maternità di Lucca. Resoconto statistico-sanitario del decennio 1875-1884, Tipografia Giusti, Lucca, 1885.
L'ode di F. Carrara è tratta da G. Sforza, Ricordi e biografie.

Ai Lucchesi – Invito per l'instituzione d'una sala d'asilo o sia d'una scuola infantile per poveri in Lucca, Lucca, dalla tipografia Giusti, 1836

Documenti

ASCLu, Censimento della popolazione, 1881, Busta 13.

 

 

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